Dopo aver letto il libro Lettere a Theo avevo intenzione di condividere un breve commento su GoodReads, il sito che uso per tenere traccia delle letture.
Ho iniziato a buttar giù qualcosa, mi sono lasciata incantare dalla pagina bianca e alla fine il "breve commento" è diventato qualcosa di più dettagliato di quanto avessi previsto.
Quello che segue è un profilo del personaggio di Van Gogh: non ha niente di "scientifico", ma è quello che ho immaginato io dopo aver passato diverse ore in compagnia delle sue lettere.
Questo è il ritratto di quello che io chiamo: il "mio Vincent".
Caro Theo,
[…] mentre ero ammalato cadeva della neve umida e molle, mi sono alzato di notte per guardare il paesaggio. Mai, mai la natura mi era sembrata così commovente e delicata.
Per 18 anni (dal 1872 fino al 1890, anno della sua morte), Vincent Van Gogh scrive una serie di lettere al fratello Theo, con cui aveva un rapporto molto intimo: è stato proprio Theo a offrirgli supporto emotivo e finanziario per tutta la vita, incoraggiandolo anche a proseguire con gli studi e le sperimentazioni artistiche. Lettere a Theo raccoglie una parte di queste lettere.
La corrispondenza con il fratello fornisce una chiave di lettura dell’opera di Van Gogh poiché il pittore parla spesso delle creazioni a cui sta lavorando, allegando considerazioni sui soggetti ritratti, i colori usati, le difficoltà incontrate nella realizzazione, informazioni sul processo creativo e talvolta anche schizzi preparatori, bozzetti e appunti di varia natura.
Se abbiamo modo di apprezzare la corrispondenza fra i due fratelli dobbiamo ringraziare Johanna Bonger, vedova di Theo, che ha reso pubbliche le lettere con molta cautela, per paura che il drammatico racconto della vita del cognato potesse in qualche modo offuscare la sua arte.
Il fatto che Theo morirà solo qualche mese dopo Vincent è un’altra cosa che mi incuriosisce e intenerisce, ma sarà una storia che racconteremo, forse, in un altro momento.
Mentre visitavo la mostra allestita in suo onore a Palazzo Bonaparte, mi sono ricordata che qualche tempo prima (era il 2016, mi ha poi ricordato Amazon!) avevo comprato il libro in questione, finito in breve tempo nel dimenticatoio del mio kindle.
Un artista è un tutt’uno con l’arte che crea: convinta di ciò, ho iniziato a leggere le lettere fingendomi una detective alla ricerca di indizi che mi facessero capire come la sua vita personale abbia potuto influire sulle sue opere.
All'inizio non c’è stato alcun colpo di fulmine, sarò sincera: il linguaggio un po’ ampolloso di fine ‘800 e l’assenza di una storia da seguire (almeno nel senso canonico del termine) mi hanno rallentata nella lettura.
Come un rapporto che ha bisogno di una profonda conoscenza prima di poter essere chiamato amore, così è stato per me nei confronti di Van Gogh.
Poi ho iniziato ad affezionarmi non tanto all’artista, quanto all’uomo-Vincent; un uomo che, come ogni altro, ha avuto una sua storia fatta di sogni, speranze, qualche successo, ma anche fatiche, delusioni, cadute e riprese. Quello che scrive al fratello è una testimonianza di come il suo animo delicato fosse capace di emozionarsi davanti alla natura e alla bontà della gente, e di come il suo spirito innovatore fosse assetato di arte, di conoscenza e di bellezza.
A quel punto ho iniziato a macinare pagine su pagine annotandole forse più del dovuto e rompendo le scatole a tutti quelli che mi erano accanto perché, si sa: quando qualcosa mi colpisce non riesco a parlare di altro (scusate!)
L'uomo-Vincent è come noi: ha le stesse paure che affliggono chiunque e quella stessa grinta che ci fa alzare dal letto anche nei giorni in cui ne avremmo meno voglia.
Ultimamente (ma forse ce ne stiamo già stancando) va molto di moda la parola resilienza. Qualunque cosa sia e in qualsiasi modo la si voglia chiamare, credo che lui ne possedesse un bel po': invece di soccombere allo sconforto per aver iniziato a dipingere in un'età in cui la maggior parte delle persone raggiunge la "maturità lavorativa" (aveva 27 anni), l'11 febbraio 1883 scrive:
Sento proprio di dover lavorare di gran lena per rifarmi di aver iniziato tardi: quel che mi tormenta è il sentirmi indietro a causa della mia età.
Un misto di angoscia e di ostinazione che mi pare di ritrovare non solo in questo contesto.
Allo stesso modo estremamente umani sono i rapporti con i genitori: Vincent sente tutto il peso della differenza generazionale che lo separa da chi l'ha messo al mondo e ha difficoltà a comunicare con loro, specialmente con il padre.
Sono di opinione meno severa, anche perché mi sembra di scoprire in papà la dimostrazione […] che egli davvero non è in grado di seguirmi quando cerco di spiegargli qualcosa
scrive da Neunen nel dicembre dello stesso anno.
Simpatico notare come a distanza di quasi 150 anni i problemi dei giovani-uomini non siano poi tanto cambiati!
A onor del vero, buona parte degli studiosi oggi tende a escludere l'idea che le origini del male di Van Gogh siano da ricercare nell’educazione ricevuta dai genitori, molto rigida anche dal punto di vista religioso.
Vincent spesso creava tensioni con le persone che lo circondavano a causa del suo comportamento e delle sue idee, tuttavia, i genitori lo sostennero fino alla fine, sia dal punto di vista materiale (mediante l’invio di soldi destinati al pagamento dell’affitto e all’acquisto dei beni necessari alla vita), sia dal punto di vista emotivo (con un costante supporto alla sua arte)1.
Anche se, come tutti, possiede una buona dose di insicurezze, raramente riferisce queste al suo lavoro: è molto orgoglioso di quello che fa, è consapevole del proprio talento e ritiene che le sue creazioni abbiano un valore.
Nonostante ciò, non è mai stato presuntuoso o pieno di sé. Al contrario, ha dedicato molto del suo tempo allo studio, concentrandosi dapprima sul disegno e successivamente sul colore e ha analizzato attentamente le opere degli artisti che ammirava, sia quelli del passato che quelli a lui contemporanei. Di grande fascino e ispirazione per lui anche le xilografie giapponesi, che acquistava e usava come decorazioni per la sua stanza, incantato dalle figure femminili, dai fiori e dagli alberi2.
Grazie a tutto questo studio riesce a valutare in modo lucido e il più possibile obiettivo le sue opere, riconoscendone i punti di forza e cercando di migliorarne i difetti.
Perfino nell’aprile 1888, periodo in cui la sua arte è probabilmente al suo punto più alto, scrive:
Spero quest’anno di fare molti progressi, di cui ho molto bisogno del resto.
D'altronde, già nell'aprile 1882, aveva una chiara idea di cosa significasse per lui essere un artista e di quali sfide avrebbe dovuto affrontare nel riconoscersi tale:
Mauve3 si offende del fatto che io abbia detto «Sono un artista» – cosa che non intendo ritrattare, perché, naturalmente, un significato aggiunto di questa parola è: «sempre alla ricerca, senza mai trovare». È precisamente il contrario del dire: «So, ho trovato».
La sua sicurezza nel potere dell'arte (e della sua arte!) è così forte che viene spontaneo parlare di "fede". D'altronde, anche Massimo Recalcati nel suo "Melanconia e creazione artistica" suggerisce l'idea che l'arte abbia preso in Vincent (che da giovane sognava di diventare predicatore) il posto della fede cristiana a partire dal momento in cui inizia a perdere fiducia nell'istituzione religiosa e nella rigidezza dei suoi dogmi.
È proprio questa fede nella sua arte che gli permette di "restare a galla" nonostante le avversità della vita e nonostante il pubblico sembrasse non apprezzare le sue creazioni.
È risaputo, infatti che durante la sua vita riesce a vendere un solo quadro: La Vigna Rossa, ad un prezzo di circa 800€ attuali. È una cifra che non ha niente a che vedere con le attuali quotazioni delle sue opere: basti ricordare che nel 2021 Scena di Strada a Montmatre è stato venduto alla cifra record di 13.091.250 €4!
A comprare La Vigna Rossa è stata Anna Boch, pittrice impressionista, mecenate e sorella di Eugéne Boch, amico personale di Vincent. Alcuni critici pensano, quindi, che l’acquisto fu dovuto più a un atto di cortesia che a effettivo interesse nei confronti dell’opera.
Non siamo certi che questa sia stata la sua unica vendita: certe lettere sembrano suggerire l'idea che alcuni amici avrebbero acquistato i loro ritratti. In ogni caso, il ricavo sarebbe stato ancora (e di molto!) inferiore a quello ottenuto con La Vigna Rossa.
Spesso ci viene detto che «La felicità risiede nel percorso e non nella destinazione». Sebbene convinti che si tratti di una verità, dobbiamo pur ammettere che non è facile proseguire in quello che si fa quando non si riceve alcuna gratificazione e il nostro lavoro sembra non piacere a nessuno.
L’arte è per Van Gogh la sposa che ha sempre desiderato ma mai avuto. Anche fra loro non mancano delle "pause di riflessione" (alcune causate dalla malattia di Vincent), eppure alla fine la coppia si ricongiunge sempre.
Forse ho dato eccessiva rilevanza a questa parte della sua storia: la verità è che mi riguarda personalmente, ricordandomi, ancora una volta, che dovrei perdermi nelle suggestioni della strada, senza pensare necessariamente a dove questa potrà portarmi. Jack Kerouac, d'altronde, ne sarebbe molto contento e anche i miei “amici” New Topographers!
Forse fra quadri non venduti, relazioni che non sono come vorremmo e la fretta di arrivare (dove?) stiamo perdendo di vista quello che davvero conta: la bellezza del paesaggio!
Vincent, invece, quel percorso sembra goderselo a pieno, respirando ogni centimetro del sentiero che calpesta e posando i suoi occhi curiosi su tutto ciò che gli capita a tiro:
Ora voglio raccontarti di una passeggiata che abbiamo fatto ieri fino a una piccola insenatura sul mare. La strada passava tra campi di frumento nuovo e lungo siepi di biancospino. Una volta giunti alla meta, abbiamo visto sulla nostra sinistra un’alta e ripida roccia. Sulla cima spuntavano sparuti cespugli di biancospino i cui rami neri e grigi, coperti di muschio, erano piegati dal vento. Il terreno sul quale camminavamo era cosparso di grosse pietre grigie, creta e conchiglie. Alla nostra destra si stendeva il mare, calmo al pari di uno stagno, riflettendo la luce del trasparente cielo grigio là dove il sole tramontava. C’era bassa marea e l’acqua era molto bassa5.
…E se in tutto questo camminare, di quadri non se ne sono ancora venduti… Pazienza!
Non posso farci niente se i miei quadri non si vendono. Ma verrà il giorno in cui si vedrà che valgono più del prezzo del colore e della vita, anche se molto misera, che ci sto rimettendo.6
In realtà, ho l'impressione che per Van Gogh le vendite rappresentassero più un modo per sfuggire alla povertà nella quale era costretto a vivere che un indicatore del proprio successo, di cui mi pare non gli importasse granché.
La sua timidezza e la preferenza per una vita tranquilla e appartata (ricordiamo che aveva abbandonato la frizzante Parigi per la ben più discreta Arles) suggeriscono che non fosse particolarmente interessato alla fama e all'attenzione del pubblico e che forse le troppe attenzioni lo mettevano addirittura a disagio.
In un articolo del 1890, George-Albert Aurier, il primo critico che riconobbe pubblicamente il suo valore, scriveva:
Nel caso di Vincent Van Gogh, nonostante la sconcertante stranezza delle sue opere, è difficile... contestare la semplice verità della sua arte, l’ingenuità della sua visione... Ciò che caratterizza tutta la sua opera è l’eccesso, l’eccesso nella forza, l’eccesso nella nervosità, la violenza nell’espressione... [le] esagerazioni quasi orgiastiche presenti in tutta la sua pittura: è un esaltato, nemico della sobrietà borghese e delle minuzie, una specie di gigante ebbro, più adatto a rimuovere montagne che a maneggiare ninnoli da vetrina, un cervello in ebollizione che versa la sua lava negli abissi dell’arte, irresistibilmente, un genio forte e terribile, spesso sublime, qualche volta grottesco, quasi sempre svelante qualcosa di patologico.
In quel periodo la malattia di Van Gogh si era già manifestata e lui aveva già iniziato la sua degenza presso l’ospedale di Saint-Rémy. La notizia dell’articolo lo raggiunge proprio lì ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non viene accolta con animo lieto. Al contrario, le uniche parole di commento, confidate ancora una volta al fratello, sono:
Ti prego di dire al signor Aurier di non scrivere più articoli sulla mia pittura, insisti: prima di tutto si sbaglia sul mio conto, e poi realmente mi sento troppo oppresso di dolore per poter far fronte a della pubblicità. Dipingere quadri mi distrae, ma sentirne parlare mi dà più pena di quanto lui non possa pensare7.
Per tirare le somme del discorso, consiglierei questo libro?
Si, ne raccomanderei la lettura, ma solo se si trova divertente vestire i panni di un "detective" (ne parlavamo all'inizio di questa discussione) e scoprire qualcosa di più della vita e dell'arte di Van Gogh partendo dalle sue stesse parole: cercare di capire meglio questo grande artista e la sua opera è stata, per me, la parte più piacevole della lettura.
A chi non condivide questa (forse un po' bizzarra) idea di "divertimento", ma è comunque interessato alla pittura di Vincent, consiglio, invece, di cercare fonti più accessibili per iniziare la ricerca: non voglio dire che si tratti di una lettura impegnativa: non lo è, ma spesso le lettere sono infarcite di particolari che ne rallentano la scorrevolezza e che potrebbero far desistere i lettori meno motivati.
Ad ogni modo, per me, 4 lune! 🌕🌕🌕🌕🌑
Forse saltuariamente scriverò altre cose.
Se ti fa piacere leggerle, puoi lasciare qui la tua mail e il tutto ti arriverà comodamente nella tua buca delle lettere!
Grazie e a presto!
— Giulia 🌙
Mauve, pittore olandese della scuola de L’Aia ed esponente della corrente del realismo, aveva sposato la cugina di Van Gogh. Nel 1881 Vincent trascorse tre settimane nel suo studio, dove fece i suoi primi esperimenti con i colori a olio e con gli acquerelli.
Ramsgate, 28 aprile 1876
Arles, 24 ottobre 1888
Auvers-sur-Oise, ultimi di maggio 1890